In mezzo all’Atlantico
di Rodolfo ROMEO
Ho ancora negli occhi l’azzurro del cielo, il blu cobalto dell’oceano ed il nero delle rocce vulcaniche. Nelle narici l’odore delle piantagioni di banani. Nelle orecchie il rumore del vento. Nel cuore un misto di gioia per l’esperienza vissuta e di tristezza per un viaggio terminato.
Il rientro a casa è sempre un po’ difficile ed infatti quando vedo Lei, che è rimasta a casa, sono pronto al peggio. Fa finta di non vedermi, mi ignora, non mi parla, sembra guardare nel vuoto quando le sono di fronte. Ma io so esattamente cosa sta pensando e cosa vorrebbe dirmi: “Ecco, tu te ne vai in giro e io rimango qui a fare niente! E poi sei andato con quelle schifose, che per soldi vanno con chiunque”. Forse ha ragione, ma questa volta proprio non la potevo portare con me. Comunque, la conosco bene e so come prenderla, quali tasti toccare -non è la prima volta che succede- faccio finta di niente, le do una carezza, le salgo sopra e lei con un borbottio sommesso si mette in movimento. E’ stato sufficiente premere il pulsante di avviamento e tutto è passato.
Inizialmente avevo pensato di partire da casa in moto (che mi piace molto di più perché la preparo come desidero), prendere il traghetto per Barcellona da Civitavecchia, arrivare al sud della Spagna e salire sulla nave diretti nel mezzo dell’Atlantico, ma erano necessari almeno sei giorni all’andata ed altrettanti al ritorno. Troppi, sia per me che per i miei amici con i quali avevo preparato il viaggio. Maledetto tempo! Sempre troppo poco per dare concretezza ai sogni, dall’inizio alla fine. Benedetto tempo! Che, pur con notevoli funamboliche evoluzioni per destreggiarsi tra gli impegni di lavoro e quelli familiari, comunque dà la possibilità di vivere la vita, così come viene.
Perciò abbiamo deciso per il Fly&Drive, poco romantico ma molto pratico, per visitare qualche isola delle Canarie ed in particolare Gran Canaria e Tenerife, con una puntata a La Gomera. La meta, di primo acchitto, potrebbe sembrare scontata, poco originale e non “motociclistica” ma, credetemi, non è così. E’ vero che lo stereotipo delle Canarie racconta di isole mondane, piene di movida, turismo di massa, locali chiassosi e confusione. In piccola parte è la verità, ma chi vuole evitare tutto ciò ha una soluzione infallibile: evitare le -poche- località rinomate, quelle che tutti conoscono e frequentano, per perdersi nella miriade di strade che, come una ragnatela, avvolgono in un bozzolo le isole, dall’interno sino al mare. Così le Canarie si mostreranno in tutto il loro splendore offrendosi al viaggiatore in modo del tutto inatteso, affascinante e coinvolgente.
Atterriamo verso la fine di Aprile a Gran Canaria e raggiungiamo Maspalomas, poco distante dall’aeroporto, dove abbiamo prenotato le moto: una Honda NCX 750 (la mia), due Suzuky V Storm 650, due BMW GS700 e G650 ed una KTM 1090, tutte in ottime condizioni, con borse e bauletti per consentire una autonomia di nove giorni anche a chi viaggia con la passeggera (siamo tre coppie e tre single) .
Sbrigate velocemente le pratiche di noleggio, lasciamo immediatamente la mondana località costiera per dirigerci all’interno dell’isola e visitare la regione vulcanica di Tejeda. E’ qui che l’Isola si manifesta per quello che realmente è: una terra autentica e selvaggia dove le montagne -che sfiorano i 2000 metri-, i vulcani e i crateri svettano sul paesaggio circostante, imponendo, con la loro austera presenza, il dominio sull’intera isola. Oltre i 1000-1300 metri compaiono i boschi di pini ed altri alberi di alto fusto, del tutto assenti nelle zone costiere e pianeggianti, dove la nera roccia vulcanica affascina e monopolizza il territorio. Le strade sono a misura di moto: strettissime e attorcigliate su loro stesse, spesso a strapiombo, disegnate per offrire panorami incantevoli ed, allo stesso tempo, austeri e vertiginosamente inquietanti. L’andatura, ovviamente, è bassissima e quindi, consente qualche distrazione di troppo per godersi la bellezza dei luoghi. Le soste per le foto sono -giustamente- frequentissime, ma le distanze sono contenute e c’è tempo per tutto, anche per visitare i pueblos adagiati sui fianchi delle montagne,ben conservati e riamasti autentici.
Scendendo verso la costa, nelle zone più interne riparate dal vento dell’oceano, l’uomo ha strappato all’aridità della terra ampie zone destinate alla coltivazione di frutta e verdura, principalmente banane. Sono superfici circondate da muri di pietra e coperte da teli per mitigare l’azione del vento e del sole implacabile, che bacia e avvolge l’isola tutto l’anno, come un’amante insaziabile e ossessiva. Passandoci vicino in moto si è avvolti da un odore dolce ed acre che riporta alla mente le atmosfere e le flagranze del Sud America.
Ritornati sulla costa, data un’occhiata “en passant” alle località turistiche tutte situate a sud est dell’isola -quella sottovento rispetto ai venti dominanti- ci concediamo una giornata di ozio sulla spiaggia di sabbia a Punta de Maspalomas. Si tratta dell’unica grande spiaggia di sabbia vera, non riportata, con alle spalle bellissime dune che si tuffano nell’oceano. Una sorta di deserto sabbioso in miniatura, come se una piccola porzione del Sahara si fosse trasferita in una vacanza perenne in mezzo al mare. Veramente molto bello. Attenzione a non addentrarsi troppo all’interno delle dune, perché non incontrerete i Touareg ma personaggi alternativi in cerca di avventure “diverse” (Maspalomas, come riportato anche nella Lonely Planet, è nota per essere gay friendly).
Sono già trascorsi tre giorni ed è tempo di cambiare isola. Dal piccolo, pittoresco ed ospitale porto di Agaete, Puerto de la Nieves, un moderno e velocissimo catamarano (di costruzione norvegese!) in tre ore ci porta a Santa Cruz de Tenerife, nell’omonima isola.
Quanto detto per Gran Canaria vale anche per Tenerife che, anch’essa, nasconde fuori dalle zone turistiche delle autentiche oasi di bellezza e tranquillità. Anche qui è piacevole ed emozionante perdersi in strade secondarie, a volte neanche segnate sulla mappa, e scoprire degli autentici gioielli.
Ma a Tenerife c’è una presenza che pervade ogni angolo dell’isola. E’ il sovrano incontrastato delle Canarie, il gigante che dai suoi 3718 metri (!!!) sembra ergersi al centro dell’isola proprio per controllare ed essere visto da tutti (se le nuvole lo permettono), anche dalle isole vicine. E’ il Teide, il vulcano più alto d’Europa e la montagna più alta della Spagna, anche se geograficamente si trova al largo dell’Africa –magie della geografia politica! Semplicemente stupendo, così come la strada che arriva ad oltre 2500 metri in un piccolo altopiano di sabbia e lava, proprio sotto la parte finale del cono. Gli ultimi 1000 metri si “scalano” in funivia, ma non per noi: è ferma per il vento troppo forte. Comunque, è veramente emozionante. L’ambientazione della zona potrebbe essere ricostruita scecherando un pezzo di Perù (la zona dei vulcani, ovviamente) un po’ di Islanda (per le colate di lava nera come il carbone), una porzione dell’Acacus libico (per il contrasto tra roccia e sabbia) ed uno spicchio di Norvegia (per il mare che si insinua nella terraferma).
La nostra base è il piccolo paese di Garachico per nulla contaminato dal turismo e situato sulla costa nord occidentale dell’isola. Da qui per quattro giorni partiamo per le nostre scorribande oltre che sul vulcano anche nella zona più a ovest di Tenerife, per me la più bella dell’isola -mentre la parte esposta ad est non è turisticamente interessante. Le moto danzano tra le curve, con la montagna da un lato e l’oceano dall’altro: che spettacolo!
La visita a La Gomera occuperà una sola giornata, dalla mattina prestissimo (con conseguenti vivaci rimostranze di mia moglie) alla sera. Il ferry, anch’esso un veloce e confortevole catamarano, in meno di un’ora ci porta da Los Cristianos al Piccolo porto di San Sebastian de la Gomera, sul quale splende l’unico raggio di sole che tocca l’isola. Il resto è avvolto da nubi basse, intrise di pioggia, che la coprono interamente. E così, indossate le tute impermeabili, andiamo a visitare l’interno della piccola isola, anche questa montuosa, che si mostra come una ininterrotta fitta, buia e rigogliosa foresta di Larici (laurislve ancestrali, che molti secoli fa erano diffuse in tutto il bacino del Mediterraneo). Ecco il perché della pioggia che, essendo una presenza costante, consente la crescita rigogliosa della foresta a queste latitudini. I venti che provengono dall’oceano, intrisi di umidità, vengono intercettati dagli alberi sulle montagne e dal calore della terra e, così, si formano le nubi che rovesciano la preziosa pioggia che nutre e fa prosperare la foresta, in un ciclo senza fine. La Gomera, quindi, è l’isola più ricca di acqua dell’intero arcipelago ed è stato proprio per questo motivo che Cristoforo Colombo, con le sue caravelle, vi fece scalo per fare l’ultimo rifornimento d’acqua prima di salpare per le Americhe. I pochi scorci visibili tra una nuvola e l’altra mostrano una costa molto poco ospitale con rare piccole spiagge sassose, raggiungibili da strette stradine che dalla montagna si tuffano ripidissime verso il mare.
Poche ore sono sufficienti per fare il giro dell’isola, praticamente rotonda, e ritrovarsi al porto per il rientro a Tenerife.
Il giorno seguente siamo di nuovo a Gran Canaria, dove ci attende la riconsegna delle moto. Una carezza sul serbatoio per ringraziare del servizio reso, e l’aeroplano ci attende, implacabile, per riportarci a casa.
Io sono affascinato dai contrasti tra terra ed acqua. A volte l’elemento dominante è la terra stessa che viene interrotta da fiumi e laghi. Talvolta, invece, domina il mare che è “violato” dalla terra sotto forma di isole, penisole o promontori che si insinuano nell’acqua, come dita tese di una mano, e formano i fiordi. Molto spesso tra terra e mare si instaura un rapporto di intima complicità, dove i due elementi si fondono in una cosa sola. Prendete ad esempio la Grecia, le coste della Turchia o, in generale i mari tropicali. Lì la costa ed il mare sono come fusi in tutt’uno, il mare lambisce la battigia accarezzandola delicatamente, come in un sensuale abbraccio amoroso. I colori sfumano, si confondono e, in qualche caso, non è facile stabilire il confine tra i due elementi. Il panorama è armonioso e comunica un senso di quiete e serenità.
Alle Canarie non è così. Lì sembra assistere ad un eterno violento conflitto tra il mare e la terra. Le isole, alte e maestose, si innalzano prepotentemente dal mare, inattese ed irruente, come a pretendere con la forza il loro spazio. Il mare, da parte sua, come se reagisse al sopruso ricevuto e voglia riappropriarsi del maltolto, si allea con il vento e si scaglia sulla costa talvolta con violenza, ma è respinto da alti bastioni, da veri e propri muri, formati dalle rocce vulcaniche.
Questo contrasto di forze potenti ed immani, di colori forti, di montagne altissime e mari infiniti, rende le isole Canarie assolutamente affascinanti, direi ammalianti, ipnotizzanti, attraenti come il canto delle sirene narrato nell’Odissea. E, così, alla partenza per l’Italia ipotizziamo di ritornarci per seguire nuovi itinerari, ma in realtà, per rivivere la bella esperienza che ci lasciamo alle spalle.
I miei sentimenti sono stati pienamente condivisi dai miei compagni di viaggio, e soci del Moto Club Roma, che mi hanno allietato con la loro presenza e onorato della loro preziosa amicizia. Grazie a mia moglie Cecilia, sempre (o quasi) pronta a seguirmi appollaiata sul sellino posteriore della moto, ed a Davide, Oreste, Chiara, Roberto, Rita, Fabrizio e Carlo per aver condiviso, ancora una volta, la favolosa avventura che solo un viaggio in moto può regalare.