Le “Rosa d’Inverno” degli anni ‘60
Ero un giovane appassionato e socio del MotoClub Roma quando la sede era in via delle Fornaci.
La Rosa d’Inverno era l’appuntamento importante dell’anno.
Eravamo un gruppo di amici possessori di moto inglesi che ci trovavamo quasi tutti i weekend per una gita fuori porta. D’estate direzione Abruzzo e d’inverno costa verso Formia, Gaeta e simile.
Ma a novembre la Rosa d’Inverno era un richiamo irresistibile.
La meta era Milano in occasione della Fiera del Ciclo e Motociclo e con noi arrivavano sempre alcune migliaia di motociclisti da tutta Italia.
Ma noi del Moto Club Roma eravamo sempre tra i vincitori della classifica redatta moltiplicando il numero dei partecipanti di un Motoclub per i chilometri percorsi.
Da Roma erano circa 650 km poiché bisognava percorrere ancora tutta la Cassia fino a Firenze.
Partenza da Roma con il nostro Barbour o Belstaff e svariati strati di pullover di lana, pantaloni pelle o quant’altro si potesse indossare per tenersi caldo. Gli indumenti tecnici di oggi non erano ancora stati inventati!!!!. Ero molto affezionato al mio Belstaff, regalatomi durante una visita alla BSA a Birmingham da Jeff Smith 2 volte Campione del Mondo di Motocross nel 1964 e 1965.
Eravamo molto invidiosi di un professore d’arte svedese (Torgil Magnusson) che aveva trovato chi sa dove degli scaldini che funzionavano con la benzina degli accendini.
Tappa fissa Barberino di Val d’Elsa dallo zio di Augusto Brettoni che aveva una stazione di servizio. Augusto era un giovane corridore con Ducati e BSA, poi pilota ufficiale Laverda anche con la famosa sei cilindri e oggi è un espertissimo restauratore di Laverda. A fianco del distributore c’era una ottima trattoria che faceva delle fiorentine con i fagioli toscanelli che ancora ricordo con piacere. Un bel bicchiere di vino rosso (magari due) per scaldarsi e via di nuovo. Gli etilometri erano nei libri di fantascienza!
Nonostante quello che tramandano le leggende sull’affidabilità delle moto inglesi siamo sempre andati e tornati senza grandi problemi tecnici.
Mi viene alla mente però un episodio che poteva avere conseguenze disastrose. Eravamo in autostrada verso piacenza e c’era una nebbia fittissima. All’improvviso uno del nostro gruppo ci supera velocissimo e tutto sdraiato sul serbatoio. Abbiamo pensato a un tentativo di suicidio perché la visibilità era praticamente nulla e noi procedevamo a non più di 60 km ora.
Quando abbiamo trovato il “folle” abbiamo capito cosa era successo. Il poveretto era rimasto indietro e aveva accelerato per riprendere la coda del gruppo. Peccato che così facendo gli si erano bloccati i carburatori Amal completamenti aperti.
Lui aveva modificato la posizione della chiave del circuito di accensione e aveva montato uno switch sotto al fanale che usava anche come antifurto. Il fatto che fosse sdraiato sul serbatoio era solo perché stava tentando di spegnere il motore!!!!
Penso che alcuni di questi ricordi facciano sorridere i motociclisti di oggi ma questo era lo spirito con cui molti di noi affrontavano i viaggi con la loro fidata motocicletta (beh fidata forse è un po’ troppo perché alle volte era anche traditrice).
Silvio MANICARDI